10 ottobre 2020: il primo appuntamento insieme

21 Ottobre 2020• di Jessica Cremonesi

35 persone, un sabato mattina di sole e l’affascinante spazio offerto da Palazzo Granaio a Settimo Milanese, la cornice perfetta per una giornata d’autunno e un progetto in partenza.
Triage all’ingresso, mascherine, sedie distanziate e disposte su due semicerchi concentrici. In una situazione di normalità, tutta questa prima fase non sarebbe esistita, ci sarebbero stati abbracci, strette di mano, baci e pacche sulla spalla. Ma ormai tutti noi siamo abituati a queste nuove routine, e quasi non ci facciamo più caso.
Per senso di responsabilità civile la stretta di mano è stata sostituita da un colpetto con gomito, tenendosi comunque lontani, ma questo non ha comunque raffreddato l’atmosfera e spento l’entusiasmo, quell’aria frizzante e carica di energia che solo un progetto in costruzione può portare. É stata la prima volta che, dopo tanto tempo, abbiamo potuto fare un incontro in presenza, vedendo le altre persone per intero, e non solo fino alla vita, appiattite sullo schermo. Beh, è stata una conquista importante.
Confusi ma eccitati, spaesati ma convinti nel nostro voler partecipare, nella volontà di portare il nostro contributo, abbiamo iniziato la giornata insieme. Scrittrici e scrittori, cercatrici e cercatori, raccoglitrici e raccoglitori, curatrici e curatori. Ognuno di noi, compilando un questionario online nei giorni precedenti, aveva cercato di definire quale potesse essere il proprio ruolo in questo grande progetto comune. Un progetto che per molti era ancora molto fumoso ma i cui contorni si sono definiti pian piano durante la mattinata: raccontare la storia della nostra comunità attraverso gli occhi e le parole di chi, la comunità, l’ha vissuta e a volte, conosciuta, grazie al progetto di Oltre i perimetri, oggi diventato Rica. Sguardi diversi, storie diverse vissute in tempi diversi, ognuno con i propri interessi, le proprie competenze, i propri spazi.
Perché quello di Comunità, è un concetto difficile da pensare, da definire. È molto più semplice viverla, entrare a farne parte, in punta di piedi a volte, ma assaporandone il gusto, sentendone il profumo, percependo il calore che deriva dal contatto con l’altro, da quelle relazioni che si costruiscono e, a volte, diventano amicizia. È un’esperienza difficile da documentare, da raccontare, da rendere accessibile a chi non ne ha fatto esperienza.
Per questo serve il contributo di tutte e di tutti noi. Delle operatrici e degli operatori che i laboratori di comunità li hanno dati alla luce, li hanno curati, coccolati, li hanno visti crescere e li hanno mantenuti vivi e uniti durante il difficile periodo del lockdown. Delle cittadine e dei cittadini, sostanza prima di cui i laboratori stessi si nutrono. Dai 16 ai 50 anni, da esperienze di volontariato in alternanza scuola lavoro, a gruppi di attori, di lettrici e di lettori, a donne straniere che si sono ritrovate e hanno partecipato a laboratori di italiano, che hanno portato e messo in comune cibi e pietanze che raccontano le loro origini. Persone comuni, di ogni provenienza ed età.
Insieme, nel corso della mattinata, abbiamo imparato quali sono gli strumenti utili per creare il nostro racconto: parole e immagini, voci e testi scritti. Ognuna e ognuno di noi avrà un ruolo e un compito preciso: chi dovrà cercare “la comunità” e incontrarla, chi dovrà raccogliere storie tramite interviste, chi dovrà raccontarle con fotografie, chi dovrà trascrivere in testi scritti le voci, chi dovrà organizzare tutto il materiale e metterlo a sistema, dandogli, piano piano, una forma sempre più definita.
Giustamente, una domanda sorge spontanea: perché? Quale vuole essere il senso di questo lavoro?
Io credo che nasca dalla volontà di raccontare il Bello, quello che nasce dalle relazioni e dalla vita comunitaria, per metterlo a disposizione di chi vorrebbe provarlo sulla sua pelle, magari cercando di replicare questa esperienza.
Vuole essere un modo per dire “Guarda, sembra impossibile, ma SI PUO’ FARE, e noi lo abbiamo fatto così…”. Ma anche un modo, per chi ha vissuto le esperienze che andremo a raccontare, di riviverle, di ripensarle con uno sguardo diverso, forse più analitico… che poi si sa, quando si rivivono i ricordi, a distanza di tempo, le fatiche e magari anche le incomprensioni, ciò che c’è stato di complicato scompare e rimane solo il Bello.
E poi…questo WebDoc vuole anche essere un modo per continuare a stare e fare comunità, un modo per crescere, per evolversi, perché la comunità è in divenire e non è mai uguale a se stessa.
In queste quattro ore, dopo aver sperimentato in prima persona le interviste (da intervistati ed intervistatori), dopo aver compreso il significato e la potenza delle immagini, e ancor di più della scelta delle immagini stesse nell’elaborazione di una storia, tiriamo le fila e ci salutiamo.
Non so dire se più o meno confuse e confusi che all’inizio della mattinata, ma sicuramente ora con un mandato, con un compito per ciascuno di noi, che in questa mattinata ci siamo trovati e ritrovati per costruire qualcosa di nuovo, per dare forma al “Bello” di cui siamo state e stati protagonisti.

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