24 ottobre 2020: la piazza il sabato mattina

13 Novembre 2020• di Tatiana Cogliati

Ho passato diverse giornate a pensare a come rendere l’idea dell’Agorà a cui abbiamo partecipato sabato 24 ottobre, ma non riuscivo a trovare nulla che mi soddisfacesse, che spiegasse non solo il “che cosa”, ma anche il “chi” e il “perché” e, soprattutto, il “come”. Come era stata pensata (in presenza, con tutte le misure di sicurezza, nell’ospitalissimo Palazzo Granaio di Settimo Milanese), come si è svolta (sull’amata e odiata piattaforma di Zoom, ognuno da casa propria), come ci siamo sentiti e sentite nel mentre (assonnati, distratti, confuse, coinvolte, attivi, accesi, connesse), come ci siamo sentiti e sentite dopo.

Poiché in Oltre i Perimetri mi occupo di un pezzo che rientra più nella sfera dei servizi che in quella della comunità, non mi era mai capitato prima di partecipare a una della Agorà di progetto, quindi per me ha rappresentato un’assoluta novità sotto tanti aspetti.

Agorà è una parola importante, come tutte le parole che ci riportano e ci rimandano all’origine, alle lingue antiche da cui derivano non solo grandi parole, bensì grandi concetti:  da ἀγορά, lo spazio pubblico nell’antica grecia; piazza di riunioni e di libero scambio, di merci – certo – ma anche di pensieri e opinioni; il centro vitale della città in cui un Socrate si fermava a discutere con chiunque gli capitasse a tiro; “fulcro delle attività politiche, commerciali, culturali, sociali e religiose” ci dice la Treccani. E poi agorà come assemblea, ma non un’assemblea qualsiasi, bensì l’assemblea degli uomini liberi che si riuniscono per discutere, deliberare e decidere.

Insomma, agorà come spazio di incontro e come persone che si incontrano in uno spazio… e allora sì! Eccoci! E a questo punto non importa nemmeno più che lo spazio sia fisico o virtuale, l’importante è che sia uno spazio di CONNESSIONE, in cui si utilizza una rete per creare una rete di persone, di donne e uomini che si sentono libere e liberi di esprimere il proprio sentito, il proprio vissuto all’interno di un territorio, di un comune di periferia, di una piazza, di un quartiere, di una via, di un negozio, di un progetto.

Ed ecco cosa è stato per me partecipare all’Agorà. È stato sentirsi parte di un gruppo che, con le sue difficoltà, moltitudini e differenze, desidera darsi un’identità, trovandosi a chiacchierare e a scambiarsi emozioni con conoscenti e sconosciuti, con colleghi e cittadine, che si pongono vicendevolmente domande sul perché e il per come ci si ritrova tutti lì, di sabato mattina, dalla comodità delle proprie case…e questo già la dice lunga. Senso del dovere e senso del piacere che si mescolano, tutti che si collegano ancora un po’ assonnati, forse con il pensiero comune del “ma chi me lo fa fare”, con la telecamera spenta e il microfono disattivato, ma poi nessuno che lascia, nessuno che saluta prima del termine. Pian piano arrivano i volti di tutte e di tutti, si accendono i microfoni, si interviene, si mostrano gli sfondi del proprio privato. Si rimane per tre ore in contatto, chi più attivamente chi meno, ma comunque presenti, sul pezzo – direbbe qualcuno.

Ascoltiamo tutti le indicazioni, le direttive e, sì, partiamo un po’ a rilento con i classici momenti di vuoto e silenzio imbarazzante tipici di questa nuova modalità a distanza, in cui per non essere chiamato in causa non devi neanche inventarti di doverti allacciare le scarpe o soffiare il naso: basta scomparire dallo schermo per un attimo ed è fatta! Ma poi qualcuno rompe il ghiaccio e la voglia di confrontarsi, di raccontarsi rispondendo a domande, mostrando le proprie foto a perfetti sconosciuti prende il sopravvento, soprattutto quando ci ritroviamo catapultati in collegamento con un piccolo gruppo misto tra operatori e operatrici, cittadini e cittadine (quante cose ho imparato con questi collegamenti a distanza!) e non puoi più permetterti di sparire perché a questo punto se ne accorgerebbero tutti. In realtà il motivo per cui nessuno scompare più è perché a quel punto la voglia di tutti di mettersi in gioco è palpabile, la voglia di esserci in quella piazza di libere persone e libero scambio, dove sentirti un po’ Socrate e un po’ passante.

Sul come ci si è sentiti dopo posso ovviamente parlare solo per me, anche se qualche idea generale credo di avercela…beh, io sarei dovuta rimanere in quella piazza solo per un’ora e invece sono qui a raccontarvela.

Agorà come condivisione.

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